Che cosa intendiamo per metodi?
Metodo: dal greco μέϑοδος (methodos), termine composto dall’unione del prefisso μετα (meta) , oltre , e dal sostantivo ὁδός (odos), strada.
Alla lettera, con metodo si può definire ” la strada attraverso cui si va oltre”. O quell’insieme di procedimenti, atteggiamenti e strategie che, insieme, compongono un sistema complesso di lavoro che si può riconoscere, appunto, dopo aver percorso la strada.
Questa è una indicazione preziosa. Suggerisce che il metodo si può definirlo e riconoscerlo, tanto nei suoi aspetti pratici, quando in quelli teorici, solamente a posteriori: dopo aver compiuto il viaggio.
Nell’esperienza di Giolli è opportuno declinare il sostantivo al plurale e parlare di metodi.
In primo luogo questo è dovuto alla molteplicità di riferimenti teorici: il Teatro dell’Oppresso (TdO) di Augusto Boal, la pedagogia di Paulo Freire, la Non – Violenza Attiva, l’Educazione Popolare. Inoltre, queste metodologie non sono mai applicate in maniera prescrittiva, utilizzate cioè come ricettari da seguire pedissequamente con la garanzia di raggiungere il risultato prefissato.
Nella pratica di Giolli i metodi rappresentano un sistema di orientamento pedagogico, politico, etico, estetico ma si trasformano attraverso il dialogo, i conflitti, le scoperte con i cosiddetti contesti d’uso e con coloro che li abitano. Ogni volta, cioè, nell’interazione con la realtà, con la vita, è possibile rintracciare i segni e i caratteri specifici di un metodo, che scaturisce dalla relazione dialogica instaurata, nella cornice di un progetto, tra le attrici e gli attori che ne sono stati, a vario titolo, gli artefici.
Quindi ogni volta che si parlerà di metodi non si pensi a rocce possenti, solide, immutabili; piuttosto si pensi ad alberi, che mutano a seconda delle stagioni e che interscambiano nutrimento con l’ambiente che li accoglie.